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La Tapasciata. Spiegata bene.

(Fonte http://storyrunning.it)

Se un mattino d’inverno un viaggiatore si ritrovasse in un paesino di provincia del nord Italia, distante 30 o 40 chilometri da tutto, circondato da altre centinaia, a volte migliaia, di persone, che si sfregano le mani per il freddo, una maglia tecnica addosso, la calzamaglia e un cappello, allora sarebbe finito nel bel mezzo di una tapasciata.


Diffusissime soprattutto nel nord e centro Italia, tecnicamente le tapasciate sono corse o camminate non competitive, con partenza libera e con percorsi di diverse lunghezze (e non omologate), che si svolgono generalmente la domenica mattina, di solito in provincia, e capaci di attrarre appassionati della corsa di ogni età, esperienza e peso.


Organizzate da gruppi e/o associazioni del territorio che fanno riferimento alla FIASP (Federazione Italiana Amatori Sport per Tutti), da regolamento le taspasciate rientrano nella categoria delle “Manifestazioni ludico motorie a carattere popolare”. Il loro scopo è di “sviluppare l’amore per lo sport, rivolto ai valori della fratellanza, dell’amicizia e della famiglia per favorire il processo di socializzazione che si matura nel rispetto della persona e della natura”.


Il termine “tapasciata” deriva da “tappascià”, termine, o meglio, verbo del dialetto lombardo. Il significato è spiegato nel vocabolario milanese-italiano curato da Francesco Cherubini nella prima metà dell’Ottocento:

“Voce che propriamente significa far passi piccioli e frequenti ed a cui dovrebbero corrispondere voci toscane Far passi triti. Camminacchiare. Sgambare. Scarpettare. Zampettare. Corrisponderebbe pure al nostro Tappascià lo Spesseggiare i passi usato dal Lalli nell’Eneide trav. (lib II) ove dice <<Julo mio figliuolino alla man destra Mi s’aggavigna spesseggiando i passi>>. I Provenzali hanno Trapegear in senso di correre, camminare in qua e in là, e i Piemontesi Tapine nel senso del nostro Tappascià” 

Molti le utilizzano per “tabellare”, come allenamento in vista degli obiettivi stagionali, per esempio per i lunghi e i lunghissimi nelle settimane e nei mesi che precedono le maratone. Altri, più tranquillamente, vedono nella tapasciata l’occasione per correre all’aria aperta, lontano dalla città, in compagnia. Come i cercatori di funghi, i tapascioni di città si svegliano prima dell’alba, passano a prendere gli amici e partono. Di solito però, a differenza dei cercatori di funghi, i tapascioni non tengono nascosta al mondo la loro meta, ma socializzano, formano gruppi, condividono sui social tracciati e foto. Che nel caso delle tapasciate non sono quasi mai tempi e personal best, ma immagini di risottate, incursioni nelle cascine, immagini del contadino che all’arrivo vende uova fresche e taleggio.



Sì, perché le tapasciate migliori spesso sono quelle che si tengono nel cuore dell’inverno, quando ci si ritrova tra le 7.30 e le 8 della domenica mattina con la temperatura spesso sotto zero e si direbbe quasi che la nebbia salga su, oltreché dal fiume nascosto dietro i castagni, dal respiro simultaneo di un migliaio di runner infreddoliti che iniziano pian piano a scaldarsi e a farsi simultaneamente tutti la stessa domanda: ma che ci faccio io qui?

“C’è un mondo che suda in retrovia, a volte per fatti suoi, nelle garette più defilate e nelle tapasciate. Sembra un brutto modo di dire “tapasciata” e invece c’è tutto un mondo dietro, una filosofia di corsa e anche un po’ di vita. Senza esagerare, ovviamente“. Non esiste paesino, quartiere, associazione o gruppo sportivo che non organizzi la sua. La tapasciata è la quintessenza della corsa amatoriale. Ci si iscrive la mattina stessa con un <investimento> che va dai tre ai cinque euro. Si ritira il pettorale, che spesso è un cartoncino dal appendere al collo con una cordicella, e si parte quando si è pronti. Via, senza aspettare nessuno, su un percorso che se ne va per campi e cascine segnato da fettucce rosse e bianche appese ai rami o da strisce di gesso tracciate per terra. Ci sono anche i cartelli che indicano i chilometri e puntualmente vengono corretti dai runners più zelanti armati di Gps. Grandiosi i ristori. Si trovano acqua, tè, integratori, biscotti, frutta secca ma, soprattutto d’inverno in qualche posto dell’Oltrepò, anche il vin brulè. (…) L’arrivo coincide sempre con la partenza. Si supera il traguardo e se non si è perso il cartellino d’iscrizione si ha diritto al <riconoscimento> o pacco gara, chiamatelo come volete. Scordatevi maglie tecniche, cremine per massaggi, integratori e depliant vari. Nella borsa di cellophane che solitamente si ritira sul cassone di un camion ci sono solo cose da mangiare: dagli gnocchi, alle bottiglie di vino; dalle salamelle, alla mortadellona; dalle confezioni di pasta e pelati, alle orecchiette fresche sottovuoto“.

Quindi le caratteristiche comuni delle tapasciate sono, nell’ordine:


  1. Volantini dalla grafica improbabile realizzati in pieno stile anni ’70, su cui campeggiano definizioni naif come “marcia ludico-motoria” o “camminata libera”…
  2. La possibilità di scegliere tra più distanze (generalmente dai 6 ai 12, 18, fino, talvolta, ai 25 o anche più).
  3. Percorsi che si snodano in campagna, fra campi, colline, boschi.
  4. I ristori durante il percorso e, ovviamente, alla fine. Nel periodo natalizio in Lombardia il panettone va via più dell’Enervit.
  5. Un costo di iscrizione che va dai 2 ai 5 euro a seconda che ci si voglia portare a casa il pacco gara finale (chiamato tecnicamente “riconoscimento”), che di solito comprende un barattolo di pelati o dei biscotti, o un pacco di spaghetti di marche improbabili. Ma che in genere è più ricco di quello di una maratona ufficiale.



Va da sé che i runner che si prendono molto sul serio, quelli afflitti dall’ansia da prestazione, il cui ventaglio di argomenti varia dalla mancanza di precisione del Garmin 220 al grado di reattività delle ultime Brooks Ghost 7, ecco, per il runner “fissato” la tapasciata è qualcosa di incomprensibile, e i tapascioni vengono liquidati con malcelato disprezzo, o guardati dall’alto in basso con superiore snobismo. Inaccettabile che si ritrovino sullo stesso sentiero famiglie con bambini (che ti costringono a correre a zigzag a ogni metro), e attempati settantenni che si preparano alla maratona. Inaccettabile che ci si fermi ogni 5 km a mangiarsi una fetta di panettone (“insomma, siamo qui per correre non per far merenda”), o qualcosa di più sostanzioso. Inaccettabile che la distanza che doveva essere di 18 km risulti poi più breve di ben 300 metri.


Ma i tapascioni se ne infischiano. Corrono, chiaccherano, sudano, si fermano un minuto per bersi del te caldo al ristoro (ma non mancano luoghi in cui servono anche la grappa), e macinano chilometri seguendo il ritmo delle campane che annunciano la messa delle dieci. Lungo il percorso si godono il paesaggio, attraversano boschi, costeggiano canali, vigneti, campi di pannocchie, si lanciano lungo le discese ardite (certo, e le risalite), si fanno i selfie con le mucche e tornano a casa in tempo per fermarsi a prendere le paste per il pranzo.


23 mar, 2023
Ecco le foto di gruppo alle tapasciate o eventi ART
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